A differenza di altri video che puoi trovare sul mio canale e nei quali mi rivolgo prevalentemente a malati di sclerosi multipla, in questo breve video voglio provare a suggerire alcuni spunti di riflessione a chi si deve occupare di un paziente .
Ho già parlato in generale di comunicazione qui, ma in questo articolo voglio essere più specifico, per migliorare la comunicazione con un paziente e rendere ancora più efficiente il supporto e l’aiuto che puoi dare.
COME COMUNICARE CON UN PAZIENTE
Sai parlare ad un malato?
Riesci a dare il tuo prezioso sostegno che può aiutarlo a risollevarsi dallo sconforto?
Come provi a risolvere quei momenti di silenzio e imbarazzo nel primo contatto?
Il mio desiderio è provare a facilitare la comunicazione tra un malato e coloro che se ne devono occupare sia per motivi affettivi, come un famigliare o un amico ma anche a coloro che svolgono la propria attività lavorativa in ambito socio sanitario, come infermieri, fisioterapisti o operatori sociali.
Sono sicuro che questi ultimi hanno ricevuto un’adeguata formazione professionale e sono in grado di affrontare al meglio i diversi aspetti che intercorrono nel rapporto tra caregiver e un malato, ma attraverso il mio diretto punto di vista da paziente vorrei offre un’altra prospettiva, una visione che proviene dall’altra parte della barricata.
A questo proposito potrei parlare lungamente di linguaggio verbale e paraverbale, di andragogia, di tecniche di comunicazione basate sull’ascolto attivo.
La mia intenzione invece è quella di tendere semplicemente una mano verso coloro che ci stanno vicino, ponendo l’accento su semplici ma basilari elementi che possono fare la differenza, e che sono frutto della mia esperienza diretta e dal confronto che ho avuto con molti malati di sclerosi multipla e le loro storie.
LA DISTANZA CON UN PAZIENTE
La maggior parte delle persone, che non lo fanno per lavoro, non scelgono volontariamente di affiancare un malato. I rapporti e gli equilibri cambiano bruscamente e bisogna occuparsene inevitabilmente. E può succedere di tutto.
- Si rompono amicizie, legami duraturi
- Le dinamiche in famiglia cambiano drasticamente
- C’è rabbia, sconforto, angoscia e incertezza.
E c’è imbarazzo per un vuoto da riempire tra noi che non sappiamo o vogliamo chiedere aiuto e voi che vorreste aiutarci ma non sapete sempre ciò di cui abbiamo bisogno oppure che siete convinti di saperlo.
Ed è uno spazio estremamente fluido nel quale le reazioni emozionali dei soggetti coinvolti danno seguito a nuovi percorsi che possono essere in uguale misure sereni o disastrosi.
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COSA DIRE E NON DIRE AD UN PAZIENTE
Dal confronto con altri compagni di sventura, una delle cose che mi sento di trasmettere è che in questi momenti vengono usate delle espressioni, delle frasi tabù che andrebbero evitate assolutamente:
- poverino
- non è nulla, le cose andranno a posto
- devi solo riposarti
- c’è un amico di un mio cugino che ha la tua stessa cosa e la vive benissimo
ma soprattutto la peggiore in assoluto
- “Io ti capisco”
Io ti capisco è una frase assolutamente inadeguata.
Tu non puoi capire, ma perché nessuno può capire in realtà quello che passa nella mente di un’altra persona.
Ed è assolutamente umano quello che accade in queste situazioni: perché la tendenza comune è immedesimarsi nell’altro. Ma non è detto che quello che pensi sia giusto.
Probabilmente stai cercando in qualche modo di risolvere la tua reazione emozionale attraverso convinzioni, supposizioni date dal tuo vissuto che magari nemmeno si avvicinano alla realtà dell’altro che ti sta di fronte.
L’unica frase giusta da dire è
ed è l’unica frase che ti permette di fare quello che veramente è essenziale per stabilire un contatto: ascoltare e lasciare che sia l’altro a dirti come si sente, a comunicarti le sue necessità e di farlo nei suoi tempi.
Quello che dovrebbe percepire è ci sei, che sei sicuro che si risolleverà e che tu sei al suo fianco, pronto ad intervenire se te lo chiederà.
Se sei pronto ad ascoltarlo, saprai quale è la cosa più importante che puoi fare per lui.
AUTONOMIA E AUTODETERMINAZIONE
Solo se saprai ascoltare avrai la possibilità di capire cosa vuole realmente l’altro, quali sono le sue necessità. E avrai anche la possibilità di dare valore alla sua essenza, di rispettarla.
Sicuramente ci sono delle necessità oggettive, delle difficoltà fisiche, degli impedimenti, ma non sono l’unico aspetto che devi considerare.
È fondamentale infatti non confondere la parola autonomia con la parola autodeterminazione.
La tendenza è confondere le due parole, i cui significato in realtà sono estremamente diverso. Ed è un errore che compiono spesso anche esperti del settore.
Un conto è essere o non essere più autonomo, ovvero non essere in grado di fare qualcosa. L’abitudine insita in chi assiste è sostituirsi. “Tu noi sei più in grado, faccio io”.
Questo aiuta, certo. Ma mina fortemente l’autostima, la forza di volontà.
Non devi permettere mai che la malattia annulli la persona che hai di fronte.
Per aiutarlo dovresti sempre cercare di coinvolgere un malato, fargli capire che ha ancora un valore, perché è così. Può ancora agire, può decidere di fare qualcosa, di collaborare senza mortificarsi.
Un esempio per te
Ricorda questo esempio banale: uno sportivo dentro, che non può più correre, potrà sempre trasmettere il suo amore, la sua passione per lo sport attraverso le parole.
Potrà motivare altre persone, potrà guidarle, istruirle.
Questo significa autodeterminazione.
Dipende dalle scelte che una persona decide di fare. Cambia la forma, non la sostanza.
Cerca di avere sempre presente la possibilità di aprire la sua visione, la sua percezione della malattia come una fase.
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